In questi giorni la parola neurodiversità sta assumendo una nuova popolarità perché entra di forza nelle case di tutti. La storia di una giovane ragazza con un’importantissima missione sta facendo scrivere miliardi di chilometri di testo, compreso questo. Ma non è su di lei che vorrei concentrarmi, né sui personaggi che hanno cercato di denigrarla in maniera a dir poco rocambolesca. C’è anche chi pensa sia normale voler mettere la gente sotto con la macchina, pensiero che diventa proibito se l’obiettivo è chi soffre di una determinata malattia. Vorrei invece concentrarmi sul concetto di Neurodiversità e le varie sfaccettature del Politically Correct che lo hanno spinto a nascere.
Partiamo dalle definizioni
Politically Correct è tutto quello che si può dire senza offendere qualcuno, impresa che sta assumendo tratti titanici nell’ultimo periodo. Sembra che la possibilità di offendersi sia diventato un diritto di chiunque e per qualsiasi motivo. Per questa ragione stiamo storpiando concetti e vocaboli oltre il loro normale utilizzo ogni volta che qualcuno si offende per qualcosa. Ma potrei fare un intero articolo sul Politically Correct, quindi meglio andare oltre.
Neurodiversità è un concetto abbastanza recente, spinto da un sottostante “movimento”, o presunto tale. Neurodiversità, secondo i sostenitori, sta a indicare una persona che ha determinate caratteristiche che fino all’altro ieri consideravamo liberamente malattia, o disturbo, o disagio di qualche tipo. Adesso dobbiamo semplicemente definirle “Neurodiversità” perché dire che “sono malati” è offensivo. Non ho niente in contrario a questo concetto, anzi.
Per Alto Funzionamento si intende una specifica sfumatura di una malattia del mentale che permette a chi ne soffre di vivere una condizione del tutto simile alle persone che non hanno tale malattia. I sintomi sono lievi o comunque non incidono in modo particolarmente grave nella sua esistenza. Questo però non significa che una persona non soffra di una malattia.
Il problema, a mio avviso, sta nel definire due pesi e due misure.
Si parla di Neurodiversità quando ci si riferisce allo spettro autistico come la sindrome di Asperger, insieme a molte altre “Neurodiversità”, nel momento in cui tali condizioni permettono un “alto funzionamento”. Da Psicoterapeuta, ho bisogno di capire di cosa si sta parlando, e lo faccio riflettendo qua. Tutto lo spettro autistico, compresa la sindrome di Asperger, è fatto di malattie, e come tali hanno bisogno della nostra massima attenzione e cura. Ma, prima che qualcuno si offenda, facciamo un passo indietro e torniamo alle definizioni.
Il concetto di malattia
La malattia è una condizione del nostro organismo dovuta a varie origini e che si distingue in negativo dalla “normalità”. Influisce, cioè, negativamente sulla nostra esistenza, o per meglio dire abbassa la qualità percepita della nostra vita o di coloro che osserviamo soffrirne. Nessuno augurerebbe mai una malattia a qualcun altro, o almeno questo prevede il comportamento Politically Correct, proprio perché si tratta di abbassare la qualità di vita. Di contro ci sono alcune condizioni del nostro organismo che non sono considerate malattie. Avere i capelli biondi piuttosto che castani, per esempio, è una caratteristica ma non una malattia. C’è da notare che il concetto di malattia cambia col cambiare della cultura e delle popolazioni, come anche dell’ambiente. Qualcosa che è considerato malattia adesso mille anni fa non lo era, e viceversa.
Le patologie del mentale, la neurodiversità e il politically correct
Torniamo ai due pesi e alle due misure.
Considerare alcune malattie come Neurodiversità significa distinguere le patologie del mentale in due classi distinte, quelle che vanno protette e quelle che invece possono subire discriminazioni, o comunque non godere della stessa protezione. Essere autistici è sicuramente una condizione che può garantire una vita serena e tranquilla, e può rientrare nella categoria della Neurodiversità nel momento in cui si preferisce non utilizzare “malattia”, lo capisco e posso accettarlo, ma è comunque una condizione che può arrivare a rendere la vita della persona molto difficile. È uno spettro (il che significa che presenta molte variazioni, da lieve a grave, e molte declinazioni per ogni singola variazione, come praticamente tutte le malattie, comprese quelle del mentale) e tra le varianti c’è quella considerata “ad alto funzionamento” (come può essere la variante Asperger).
Ma allo stesso modo tutte le patologie del mentale, a cui nessuno verrebbe in mente di augurare ad altra persona, dovrebbero subire lo stesso trattamento: anche un ansioso, o un depresso, possono avere molte caratteristiche di quello che si considera essere identificabile come Neurodiversità, o alto funzionamento: quindi la possibilità di vivere una vita serena e tranquilla. Quindi… perché autismo sì e altre malattie no? Qual è il problema?
La neurodiversità è una patologia, non c’è bisogno di offendersi
Torniamo all’inizio, ovvero la necessità di offendersi. A nessuno verrebbe in mente di creare la “Neurodiversità” se non ci fosse qualcuno che si è offeso dopo essersi sentito definito malato. O, più probabilmente, qualcuno si è sentito offeso per procura, ovvero ha sentito la necessità di proteggere qualcun altro dalla parola “malattia”. A poche persone che soffrono di malattie mentali piace essere chiamati malati, direi che a poche persone in generale piace essere chiamati malati, perché la parola malattia si porta dietro uno stigma pesante, sia di contagio che di sofferenza e debolezza. Chi vorrebbe essere considerato debole? Sicuramente ce ne sono, ma mi riferisco alla media.
Considerare la “Neurodiversità” come una “non” malattia, significa non darle il giusto peso. Significa togliere attenzione da una condizione che necessita di tutta l’attenzione possibile. Significa smettere di cercare metodi per curarla proprio perché non è più una malattia, e questo è molto pericoloso. Se la giustificazione a tutto questo, poi, è soltanto il diritto di potersi offendere, allora il tutto assume toni grotteschi. Non metto in dubbio che ci siano alcune persone, ad alto funzionamento, che siano perfettamente in grado di vivere la loro vita e non abbiano alcuna intenzione di essere “curate”, ben venga, buon per loro. Considerare che tutti coloro che soffrono della stessa “condizione” (chiamiamola così, per il Politically Correct) la pensino esattamente allo stesso modo è un errore grave.
Allo stesso modo, escludere da tale definizione molte altre patologie (se non tutte) che presentano tratti di alto funzionamento, o comunque di potenziale funzionamento elevato (attraverso farmaci o cure di vario tipo), significa fare una distinzione arbitraria che ricorda molto le teorie sulla razza (per distruggere del tutto il Politically Correct).
Le mie considerazioni finali
A mio avviso c’è poco da scherzare sulle malattie mentali, c’è poco da offendersi o addirittura offendere. Come cultura italiana facciamo già molto per stigmatizzare le persone che soffrono di determinate patologie, e “salvarne” soltanto alcune non fa che peggiorare la situazione. Tutti possono considerarsi Neurodiversi, oppure nessuno deve esserlo considerato, perché non aggiunge né toglie alcunché di nuovo alla condizione precedente. Chiamare una persona che soffre di ansia ma che riesce a svolgere la sua vita normalmente “Neurodiverso” non migliorerà la sua condizione, né lo farà percepire meglio o peggio dalla società.
C’è una certa necessità nel forzare una campana di vetro sulle persone che percepiamo come più fragili. Questa tendenza sta portando a eccessi che possono essere particolarmente pericolosi. Non metto in dubbio che ci siano condizioni in cui questo sia indispensabile, figuriamoci. Però farlo con tutti e per qualsiasi motivo significa non permettere alle persone di sviluppare le proprie abilità e capacità. In questo modo le trasformiamo in creature completamente dipendenti da noi, ovvero fragili quando poi dovranno affrontare il mondo esterno senza la protezione che hanno sempre avuto.
Considerare alcune patologie, anche piuttosto gravi, come semplice “Neurodiversità“, a chi fa comodo, e perché? E perché non considerarle tutte, visto che tutti siamo esseri umani neurodiversi uno dall’altro e tutti abbiamo diritto allo stesso tipo di protezione da chi ci vuole insultare, sia che usi il termine malattia o qualsiasi altro? E perché non permettere a tutti coloro che possono farlo di imparare a difendersi da soli?
È davvero necessario inventarsi termini e distruggere concetti importanti? Non sarebbe forse è il caso di concentrarsi sull’atteggiamento umano che spinge alcune persone a difendersi in un modo che non può che peggiorare la situazione?
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