L’intelligenza, questa sconosciuta

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Pubblicato il 

16 Settembre 2017

 alle 

16:26

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Intelligenza
Intelligenza

All’interno della nostra cultura percepiamo l’Intelligenza come il non plus ultra delle qualità che una persona può, e deve, possedere. Se sei intelligente sei una brava persona, ci si può fidare, avrai successo nella vita, sono gli altri che sbagliano e, anche tu sbagliassi, sei sicuramente in grado di riparare.
Al contrario, la percepita non-intelligenza viene utilizzata come insulto, come caratterizzazione di una persona poco affidabile e, nel caso sbagli, era ovvio che succedesse.

Intelligenza ed etichette

L’intelligenza in genere viene definita come la capacità di ragionamento logico, stabilita tramite test del Quoziente Intellettivo ed è permanente e resistente alle modifiche. Questa è la percezione stereotipata di questa caratteristica, ovvero la percepiamo nel sentire, e dire, comune. La realtà delle cose è molto differente.
Prima di tutto l’intelligenza non è una qualità unica. Molte ricerche hanno però definito una sorta di “fattore generale” dell’intelligenza che sembra influire su tutti gli altri sottotipi.
Ci sono almeno sette tipi diversi di intelligenza, e tutti e sette possono essere studiati, allenati e applicati in differenti ambiti. Di conseguenza l’intelligenza non ha una definizione univoca perché cambia a seconda del tipo che stiamo indagando.

La cosiddetta “scienza” stabilisce che esiste un valore medio di intelligenza e che non è possibile cambiarlo. L’etichetta, affibbiata alle persone, di “ritardo mentale” o “intelligenza superiore” rimane a vita, con tutti i problemi che possono seguire. Non si sa, come riflessione personale, se sia più dannosa una diagnosi di ritardo mentale o una di intelligenza superiore, nel lungo periodo. Ci sarebbe anche da indagare come questa influenzi poi il resto dell’esistenza della persona.

Il test del Q. I.

I test per definire l’intelligenza sono stati tra i primi test ad essere sviluppati e hanno avuto un boom nei periodi di guerra dove venivano utilizzati per classificare le reclute e scartare quelle meno adatte. Questi test misurano un insieme di capacità logiche e razionali, o di abilità specifiche, e permettono una classificazione. Oltre a questo permettono di stabilire un Quoziente Intellettivo, ovvero una misura che stabilisca se c’è un ritardo mentale (o una capacità superiore). Nel corso dei decenni i test d’intelligenza si sono affinati e frammentati, fino a diventare così numerosi da rendere difficile un’analisi precisa.

Nella nostra cultura consideriamo il Test del Q.I. con diffidenza proprio per lo stigma sociale e culturale associato ad un possibile ritardo, alle scarse capacità lavorative che ne seguirebbero, nonché sociali ed esistenziali in generale. Ma il Quoziente Intellettivo è davvero così fondamentale?
In parte sì, perché definisce le nostre capacità di ragionamento e di adattamento alla società. Per questo si fa di tutto, durante le scuole dell’obbligo, per stimolare la classe allo sviluppo di determinate capacità di modo che possano raggiungere la piena possibilità espressiva da adulti. Questo significa che si tende sempre all’intelligenza razionale, trascurando però un altro lato che sarebbe ancora più fondamentale.

L’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva è la capacità di gestire e in generale avere a che fare con le proprie, e altrui, emozioni. È una capacità poco studiata e sicuramente si cerca di svilupparla poco, sia nel corso delle scuole dell’obbligo che in generale nella società. Istruiamo i bambini ad essere efficienti per quanto riguarda il ragionamento logico razionale. Quando però dobbiamo avere a che fare col nostro mondo interno, o con quello delle altre persone, ci ritroviamo spersi. A volte abbiamo avuto una buona dose di fortuna che ci ha concesso figure capaci che hanno saputo guidarci, ma è raro. E si chiama intelligenza emotiva solo perché ancora si pensa che “intelligenza” sia un concetto superiore rispetto magari a emotività.

È bene considerare che il 99% delle patologie psichiche viene da una scarsa gestione delle emozioni, il restante 1% viene da problematiche organiche. Sarebbe quindi naturale investire di più in educazione emotiva piuttosto di continuare a sviluppare l’intelligenza logico razionale, ma non lo facciamo, per svariate motivazioni. Si cerca poi di riparare a errori di questo tipo nella vita adulta, quando la scarsa gestione delle emozioni si è solidificata in un sintomo o una sindrome, più difficile da trattare. Lo psicologo, in sostanza, lavora per sopperire a queste mancanze e cerca di aiutare i pazienti a sviluppare le loro capacità di gestione emotiva. Si cerca quindi di evitare di ricadere negli stessi errori e nelle stesse problematiche.

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