Ogni stato con con un sistema burocratico, ha i suoi modi per identificare un professionista, che sia un medico, uno psicologo, o qualsiasi altra cosa. Ci sono siti su cui poter navigare per fare le dovute verifiche, numeri da chiamare, persone a cui chiedere.
Essere iscritto all’Ordine non vuol dire essere un “bravo psicologo”
Essere in questi Ordini, o Associazioni, non garantisce che un professionista sia in grado di risolvere un problema, che ne sia un membro affidabile, un essere umano rispettabile, o altro. Garantisce soltanto che quella persona ha seguito un percorso che l’ha portata ad un riconoscimento e a una validazione ufficiale dello stesso.
Nel mio caso, essere uno psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi della Toscana, in Italia, non dimostra niente sulle mie abilità, la mia empatia, le mie capacità generali o qualsiasi altra cosa: non vi assicura che sono un “bravo psicologo”. Dice soltanto che ho fatto un corso universitario di cinque anni più uno, passato con successo un esame di stato e pagato determinate tasse. Nient’altro. Tutto questo è molto importante perché abbiamo a che fare con bugiardi e finti professionisti ed è quindi utile avere un sistema di garanzia. Ma, di nuovo, questo sistema non dice molto sulla persona che ci troviamo davanti.
Quindi, come si identifica un buon professionista?
Per professioni più “semplici” è sufficiente guardare al lavoro svolto in precedenza, parlare con le persone che hanno lavorato con quel professionista, guardare il suo portfolio o il curriculum.
Con gli psicologi questo è difficile. Non è facile trovare persone che dicano che sono stati da un terapeuta e perché, se questo le ha aiutate a risolvere il problema, e come. L’unica persona che può dire se uno psicologo, o un professionista simile, sia bravo, è l’utente stesso, il paziente: lui e soltanto lui. Vediamo come.
I principi della psicologia da seguire per essere un “bravo psicologo”
Ci sono alcuni principi nella psicologia che dovrebbero essere seguiti ma che non sono un obbligo, o una regola.
- Rispetto. Dovrebbe essere la prima regola in qualsiasi relazione, ma non è sempre così. Il rispetto in questa situazione significa essere in grado di rispettare l’utente, il paziente, in tutti gli aspetti. Se trovate un professionista che ha sempre la risposta giusta per voi, che cerca di guidarvi, di manipolarvi e portarvi su di una strada che non avreste mai preso, questo non è il rispetto di cui stiamo parlando. Rispetto per il tempo per confrontarsi con eventi o ricordi dolorosi, senza andare troppo in profondità troppo presto. E anche saper riconoscere le debolezze del paziente senza usarle, questo è come un professionista dovrebbe comportarsi. Sembra banale da dire, ma non è sempre vero.
- Empatia. Una persona che lavora con le emozioni e i sentimenti della gente dovrebbe essere in grado di gestire con attenzione anche le proprie. Se vi trovate di fronte un robot senza emozioni, o al contrario qualcuno che si fa prendere troppo da quello che dite, non potrà essere di grande aiuto.
- Manipolazione. Inclusa nel punto sul “rispetto”, la manipolazione è l’atto di guidare una persona contro la sua volontà, o sostituendosi ad essa. Molti terapeuti sono addestrati ad un singolo modello, una singola teoria, che secondo loro dà tutte le risposte. Tutto quello che sentono dal paziente deve essere incluso in questa cornice. Tutto quello che non ci entra bene deve essere forzato e modificato per guidare il paziente verso la soluzione già pronta per il disturbo specifico. Questa è manipolazione: qualche volta funziona, ma rimane un comportamento scorretto, e spesso è soltanto una perdita di tempo e di denaro.
- Divulgazione di informazioni personali. La scuola che ho frequentato mi ha insegnato che la relazione col paziente è personale e professionale, e che sono in essa con me stesso, non soltanto con le tecniche e gli strumenti. Questa è chiamata relazione “center to center”, ovvero il centro della mia persona al pari del centro della persona del paziente. La relazione tra di noi è il punto principale del lavoro insieme. Essere un “chirurgo” (professione che, al contrario, ha bisogno di un certo distacco) con i miei strumenti e senza la mia persona, non mi permette di entrare nella relazione e aiutare davvero la persona con cui sto lavorando. È forse il lavoro più delicato dello psicologo e del terapeuta, perché deve essere bilanciato con cura. Una divulgazione eccessiva di informazioni può essere altrettanto dannosa del contrario.
- Denaro. Se un terapeuta interrompe una relazione solo per motivi di denaro vuol dire che quello era il suo unico obiettivo fin dall’inizio. Interrompere una relazione, magari lunga, è un processo delicato e non dovrebbe prendere in considerazione questioni del genere. Ma succede.
- Maieutica. Come nella tradizione socratica, un terapeuta non dovrebbe aggiungere niente al paziente, che siano pensieri o comportamenti. Piuttosto dovrebbe aiutarlo a trovare le sue vie, i suoi strumenti, le sue abilità e capacità che sono già dentro di lui fin dall’inizio, ma che forse sono state ingolfate e ricoperte da tutti i disturbi che sono nati in seguito. Dobbiamo sviluppare le nostre forze e combattere le nostre debolezze con una guida, ma non abbiamo bisogno di essere scolpiti.
Spero che questa semplice guida possa essere utile a qualcuno. Dovrebbe essere abbastanza semplice da usare anche in una singola sessione, così da capire se il professionista con cui si sta lavorando merita la nostra fiducia o meno.
Credits: Photo by Hannah Olinger on Unsplas